mercoledì 8 dicembre 2010

Equo, bio e monaci trappisti

Ieri era giornata di tartufi alla cioccolata. Come ogni anno a dicembre, ho comprato cioccolata fondente, panna fresca e cacao, ho aggiunto una spruzzata di Calvados che avevo a casa et voilà,  ecco il mio monolocale pieno di aroma da pasticceria.
Come materie prime ho scelto cacao bio e cioccolato equo e solidale: da un po' di tempo mi interesso di queste due realtà, perché ho molto a cuore l'impatto che le mie scelte di consumatore hanno sul pianeta e sulle altre persone.
Da persona incuriosita, mi sono informato e ho visto che i prodotti che ricadono in queste categorie non sono tutti uguali: ci sono alcuni che sono delle vere e proprie truffe in quanto non sono ciò che l'etichetta assicura; altri invece sono certificati, ci sono prodotti non certificati ma spulciando gli ingredienti si vede che potrebbero benissimo esserlo, altri ancora hanno strane descrizioni, reclamano proprietà esoteriche e sono carissimi.
Un esempio di  quest'ultima categoria è il cacao che ho comprato: 200 grammi di cacao biologico (certificato), "dei monaci trappisti di Sept-Fons", naturalmente ricco di magnesio ferro e calcio. Per la modica cifra di 3.78 euro (l'ho comprato di fretta e senza guardare al prezzo, sennò facevo a meno!).
Ora, io sono un consumatore semplice. Faccio già abbastanza fatica ad evitare le truffe con i prodotti base, se vedo etichette inutilmente lunghe divento diffidente. Se poi il cacao è naturalmente ricco di magnesio blah blah blah, non penso che valga la pena neanche di scriverlo sull'etichetta (ma magari sulla tabella nutrizionale!). Quel cacao sarà  ricco di oligoelementi circa come un qualsiasi altro cacao bio, poco importa che sia stato macinato da monaci trappisti, da sciamani vodoo o rivoluzionari cubani.
Il punto è che l'equo-solidale e il biologico spesso sono venduti come prodotti di nicchia. Puntano su una clientela che non compra il prodotto perchè fa bene al pianeta, ai suoi abitanti e magari pure a chi lo consuma, ma perché li fa sentire a posto con la coscienza. Oppure, in generale, fa credere di essere persone "migliori".
Io non lo faccio con questo scopo. In particolare, non credo ciecamente che i prodotti  bio siano più sani di quelli non bio: personalmente compro biologico per evitare tecniche di coltura che immettano chimicume nell'ambiente. Ovviamente è un punto di vista: d'altronde, cerco di mangiare sano ogni volta che compro cibo, che sia bio o no. Proprio per questo mio atteggiamento disilluso, mi da fastidio che alcuni prodotti (anche ben fatti e certificati) puntino sull'esoterico per alzare il prezzo.
Se voglio comprare del sapone biodegradabile, non mi interessa che l'etichetta riporti "Shampoo energizzante all' ylang-ylang, con vetyver per una funzione riequilibrante". È solo una truffa: perché parole come "energizzante" e "riequilibrante" non hanno un senso preciso, e anche perchè l'ylang ylang e il vetyver non avranno nessun effetto fisiologico tranne profumare gradevolmente i vostri capelli (e controllate pure su wiki se non mi credete). Si tratta solo di spillare soldi, perchè certamente un flacone con scritto "Shampo biodegradabile aromatizzato agli olii essenziali" non lo puoi mica vendere a 14 euro per 250 ml.
Lo stesso vale per l'equo e solidale: se compro del the, a me interessa che il contadino possa mandare a scuola i suoi figli. Di sicuro non mi interessa che il negoziante mi rubi due euro scrivendo quattro cazzabubbole o banalità sulla scatola.
Secondo me, inoltre, le idee alla base del biologico e del fair trade non possono fare la differenza se non diventano un abitudine per molti.  E questo vuole dire buttare via l'immagine di nicchia, esoterica e radical chic di questi prodotti, abbassare i prezzi e allacciarsi alla grande distribuzione. E finirla con le etichette arzigogolate: penso che chiunque sarebbe piuttosto spiazzato se sul pacco dello zucchero leggesse:

NaturBeta -  edulcorante di origine naturale. 
Dolcificante cristallino ricavato dalla lavorazione della Beta vulgaris,
si presenta  in piccoli cristalli incolori.
Dal sapore delicato, è adatto a tutte le preparazioni.
Naturalmente ricco di saccarosio,
é una fonte importante di energia

Una linea di prodotti che apprezzo è la gamma di prodotti fair trade del LIDL. Sono buoni, certificati, hanno un packaging sobrio con un'etichettatura semplice e leggibile (ad esempio: "99.5% del volume degli ingredienti proviene dal commercio equo"). Costano poco (1.05 euro per 100 grammi di ottima cioccolata al 70% di cacao) e sono disponibili ad un numero enorme di consumatori. Certo, sono proposti da una catena che probabilmente abusa del commercio "iniquo e coloniale" per il resto dei prodotti, però l'iniziativa di un "equo e solidale per le masse" è decisamente condivisibile. Il trucco per loro è contenere i costi della distribuzione mantenendo invariate le quote eque per i contadini che forniscono le materie prime.
Ho scoperto anche che esiste una serie di prodotti bio economici che vengono venduti nei posti più disparati (parafarmacie, botteghette,  negozi "tutto ad un euro",...) . Anche in questo caso, magari arrivassero nei supermercati!
 Insomma, equo e bio possono fare la differenza solo se diventano fenomeno di massa, e non è detto che la grande distribuzione sia necessariamente un nemico in questo.

domenica 5 dicembre 2010

Letture di novembre (e visioni)

"Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico": Ermanno Olmi lanciò uno slogan che funziona, in Centochiodi, stigmatizzando quella cultura che dei libri si appropria come di un feticcio o, peggio ancora, come di un'arma impropria da cui trarre la morale (non richiesta e squisitamente teorica) della vita che non abbiamo il coraggio di vivere. Tutto vero, tutto assolutamente condivisibile: per diventare delle mummie che i libri preferiscono alle persone e che non si stancano di citare per il puro gusto di ricorrere ad una pretesa autorità di qualche tipo, meglio non leggere affatto.
Ma come la mettiamo quando i libri cominciano a mancarti davvero? Quando i gorghi della vita finiscono per travolgerti e vorresti avere il tempo di fermarti almeno un po', di ragionare sul mondo attraverso il filtro delle molte pagine che compongono un buon libro, e non solo attraverso gli impulsi indotti della pubblicità, gli allarmismi dei telegiornali, la conoscenza di troppo rapido accesso e consumo di internet?
In cinque anni di Università non si può certo dire che non abbia letto: tra i volumi studiati e quelli che mi sono presa la libertà di leggere durante le vacanze, non si può dire che il pane letterario mi sia mancato. Alla prima serie appartengono i meravigliosi libri di letteratura greca di Susanetti, ma anche quelli studiati per geografia come il Farinelli, o per Teoria della Letteratura, come Racine ed Holderlin; nella seconda serie tengo Steinbeck, Fruttero e Lucentini, D.H. Lawrence, Virginia Woolf.
Oltre all' Ermanno Olmi di Centochiodi ho incrociato in questo mese anche il Grimaldi e il Moretti di Caos Calmo, il Truffaut di Jules e Jim; il Polanski di Oliver Twist, Dan Brown; Le cronache di Narnia, titoli di psicologia (Teresa Brennan e Alice Miller), Edith Stein: dal puro intrattenimento alle complesse dinamiche dei sentimenti, temi di educazione e identità di genere. E l'intrattenimento puro di un romanzo che fa piacere leggere. Ora sto finendo la Stein, Narnia aspetta a Padova. Attendono al varco Maggiani e Il corpo di Diotima.
Perché il problema, in questi cinque anni, non sono i libri che non ho letto. Ma quelli che ho lasciato a metà.
Tempo per leggere pochissimo, anche se ben sfruttato, ma rimane quel bisogno di leggere di più, di leggere sempre. Così anche dopo la laurea, dopo i concorsi e dopo lo sbigottimento di rendermi conto che avevo del tempo da spendere, mi sono messa a leggere. Con il proposito di non tornare ad essere una persona che non ha il tempo di leggere. Se ad una cosa servirà l'essere pendolare, sarà proprio questa: regalerò volentieri le mie due ore di viaggio alle pagine di qualche libro: l'elenco di sopra è ancora orfano di autori russi, francesi e di un po' di pubblicazioni recenti.
"Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico", ma se questi due amici sono due lettori, quel caffè avrà un sapore completamente diverso. (Penso, in particolare, a Roberta e a Michela: è solo per poterlo dedicare a loro che lascio questo post così insopportabilmente lungo e autoriflessivo, mentre volevo solo parlare dei libri che ho letto, che trovate, invece, nei vari link).



venerdì 3 dicembre 2010

Lo scotch e i materiali innovativi


Oggi ero in ufficio a lavorare, o meglio, cercavo di fare funzionare un programma. Ero immerso nel mio delirio numerico quando è entrato Mohamed. E' uno studente di dottorato tunisino, dall'aspetto e dai cordiali modi levantini così comuni nel sud del Mediterraneo. Lui peraltro è così convinto della somiglianza fra i popoli mediterranei che a mensa, parlando di una ragazza italiana meridionale ha esclamato "Ma Paola è araba!!" per indicare la sua carnagione scura...
Mohamed aveva un aria piuttosto imbarazzata, e mi chiede dello scotch da ufficio. So che lui in questi giorni sta lavorando ad una nuova tecnica per produrre superfici di grafene, ossia strati monoatomici di carbonio. Questo materiale innovativo è resistente meccanicamente, flessibile, ha proprietà elettroniche del tutto peculiari e verrà utilizzato probabilmente in futuro per realizzare oggetti come schermi ultrapiatti flessibili, elettronica miniaturizzata e molto altro. Il premio Nobel di quest'anno è stato dato a due giovani fisici per una procedura di fabbricazione, detta "cleavage", che consiste nella separazione meccanica dei vari "fogli" che compongono la grafite, il minerale all'origine delle mine di matita.
Ora, voi immaginerete che il cleavage sia una procedura ad alta tecnologia che richiede chissà che macchinari assurdi, ma non è così. Si basa proprio sullo scotch, che permette di far staccare gli strati voluti dalla base sottostante. Ripetendo la procedura un po' di volte, si ottiene il foglio di grafene voluto (di dimensioni micrometriche, ma comunque utili per l'elettronica). Il mio imbarazzato collega era venuto infatti a chiedermi un rotolo di scotch (quello bianco opaco da ufficio) perché il loro laboratorio era rimasto senza.
Insomma, il laboratorio di "Materiali innovativi" che ha bisogno di materiale di cartoleria per fare un esperimento: questo è lo stato dell'arte nella fisica dei materiali!
D'altronde,il mio insegnante Denis Bastieri ripeteva in continuazione che "con lo scotch si fanno i migliori esperimenti".

giovedì 2 dicembre 2010

Finalmente

Finalmente ho occasione di postare qualcosa. Anche se graficamente verrà sistemato quando avrò tempo (quindi forse mai), questo blog esiste... chissà che ne venga fuori qualcosa di interessante! Cosa, di preciso, si vedrà.